Marta e padre Aldo Trento

padre_aldo_trento-jpg-crop_displayTra le persone che hanno intrapreso una corrispondenza con Marta vi è padre Aldo Trento, il missionario della Fraternità San Carlo che è stato di recente visitato da papa Francesco, in un fuori programma del suo viaggio pastorale in Sud America, fatto che ha avuto un certo clamore mediatico (qui alcuni servizi ed articoli: servizio Rai – al minuto 1:25 -; il servizio di TG2000 che prendiamo dal sito di Tempi; articoli su Il Sussidiario, su  Tempi;  La Stampa ). Padre Aldo, ad Asuncion, cura malati terminali, persone abbandonate da tutti, piccoli destinati a pochi anni di vita, ragazze tolte dai marciapiedi….

In occasione del Meeting di Rimini del 2009,  padre Aldo incontrò sia Giorgio ed Elena, i genitori di Marta, che la stessa Marta.

I genitori chiedevano a lui, abituato a condividere il dolore di tante persone, un aiuto a capire il senso della malattia della propria figlia. I dialoghi con lui, che Giorgio, il padre di Marta, ha trascritto, sono di una forza drammatica e di una bellezza notevoli.

Padre Aldo ha incontrato poi anche Marta e ne è nata una cordiale amicizia, a cui sono seguite alcune email (una di queste è pubblicata nel libro, insieme ad altri passi più brevi).

Nella fase di preparazione del libro, abbiamo chiesto a padre Aldo alcune sue considerazioni che ci ha prontamente spedito e che vi riportiamo qui.

Lui stesso ci ha raccontato il suo desiderio di incontrarla, dopo aver parlato con i genitori e dopo aver spesso parlato con una comune amica, che lo accompagnava al Meeting.

L’ho conosciuta mediante una comune amica, di nome Giulia. Era durante un Meeting in cui Giulia mi accompagnava. Fu in quei giorni che mi parlò molto di Marta, di ciò che soffriva e di come offriva tutto. Me la descrisse così bene che subito desiderai sentirla per telefono, quindi vederla.

Dopo avergli riportato quanto emergeva dal dialogo con gli amici, ovvero che Marta viveva così liberamente  la sua malattia, tanto che si poteva dire che in quel momento fosse la sua vocazione, così lui ha commentato.

Molto bello quanto dicono i suoi amici sulla malattia come vocazione, perché dire “vissuta con fede” non si capisce del tutto e sembra quasi uno sforzo. Vedere la malattia, come la vedeva Marta è commovente perché è una risposta alla chiamata di Gesù che chiede di seguirlo mediante modalità impreviste, e per lei proprio così nel soffrire.  La sperimento anche io nella mia vita attuale con questa malattia degenerativa delle ossa e dei tendini che progressivamente mi blocca i piedi. Vivere il dolore, la malattia come vocazione è liberante e pieno di pace, perché ti fa sperimentare cosa vuol dire l essenzialità della vita. Marta, in questo momento difficile per me, è una memoria viva che ciò che ora Cristo mi chiede è di stare con lo sguardo fisso su di Lui. Marta, piano, piano che si avvicinava alla morte aveva sempre più chiaro che quella era la sua vocazione, come a dire la modalità con cui il Mistero la chiamava a vivere. Credo, per la esperienza anche del rapporto con i miei ammalati, sia l’aspetto più decisivo della testimonianza di Marta. Vivere la malattia come vocazione è la sfida, la novità più grande nel mondo di oggi in cui la sola parola “dolore” fa impaurire. Il mondo ha estremo bisogno di essere educato a convivere con il dolore e la morte.

Gli abbiamo poi chiesto cosa personalmente trovasse in lei, perché le era diventata cara.

“Per me è stata un segno chiarissimo di come il Mistero opera nella vita di una persona semplice come una bambina. Ha sempre vissuto con positività, fino ad arrivare al suo dolore e anche al suo lavoro. Non l’ho mai sentita lamentarsi. Certamente nella sua bella faccia si notavano con la gioia di vivere anche i segni della sua battaglia. Per me che vivo tutte le ore con pazienti terminali è stata sempre un conforto la sua semplice amicizia vissuta in particolare attraverso la sua amica del cuore, la Giulia. Guardando il suo volto,
come le più di mille persone che ho accompagnato a morire è molto semplice vedere la vittoria di Cristo. Già nella vita è difficile vivere di segni, immaginarsi quando una persona soffre di cancro. La morte non ha vinto su di lei per questa certezza granitica che le veniva dalla fede vissuta dentro la bellezza di una compagnia.

(tutti i passi citati si riferiscono ad una email del   2013)

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