Testimone della vitalità del carisma

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Pubblichiamo la trascrizione (non rivista dai relatori e tale da mantenere il carattere di comunicazione orale) dell’incontro conclusivo della Festa di Bologna, tenutosi il 2 giugno 2015, che aveva come contenuto la presentazione di Voglio tutto.  All’interno dell’incontro, in particolare don Stefano Alberto ha messo in luce il nesso della testimonianza di Marta con la vita della Chiesa oggi, e nello specifico con il compito e il ruolo del movimento di CL dieci anni dopo la scomparsa del fondatore don Luigi Giussani. Ne esce un quadro avvincente relativo al compito di ognuno rispetto ai destini del mondo e della storia. Quei destini che Marta, nella semplicità della sua vita, si è caricata sulle spalle.

Per chi preferisse stampare il testo o leggerlo in pdf, può cliccare qui.

 

TESTIMONE DELLA VITALITA’ DEL CARISMA

 

Giuseppe Monteduro (Beppino)

Salve a tutti.

Vi presento i nostri ospiti. Don Stefano Alberto, docente di teologia in Università Cattolica, già qui  ampiamente conosciuto come don Pino, ed Emanuele Polverelli, curatore del libro Voglio tutto, libro che oggi vi presentiamo. Vista l’ora e il sole, la platea è sparsa anche all’ombra degli alberi. Ringrazio tutti per la vostra presenza.

Perché abbiamo deciso di chiudere la festa con la presentazione di questo libro? Per un motivo chiaro. Il titolo della festa è “La vita rinasce in un incontro”, ed è esattamente quello che raccontiamo oggi, quello che abbiamo chiesto a don Pino ed Emanuele. Abbiamo chiesto loro di raccontarci come attraverso la vita di Marta Bellavista, una ragazza di Rimini che ha avuto una vita breve ma intensissima e i cui scritti sono qui raccolti, si possa dire che vale la pena vivere tutto con una “febbre di vita”. Don Pino nella prefazione dice proprio che guardando Marta viene in mente quella che don Giussani chiamava “una febbre di vita”.

Questo è per me il valore del testimone. Il testimone ha un doppio valore. Innanzi tutto è colui che ti dice che quello che stai cercando c’è, perché lui lo vive. E testimoniandolo ti dice che che esiste la strada. È la grandezza del testimone.

Oggi vogliamo conoscere Marta con gli occhi di chi l’ha conosciuta.

Leggo quella che mi sembra essere una sintesi breve di ciò che potrete leggere acquistando il libro.

“Non ho un diario ma scrivo sempre tutte le volte che parlo con un amico, con don Pino, scrivo tutto quello che ci siamo detti. Ho scritto anche in questi giorni…”.  Ed era per lei un momento particolare…

Il motivo per cui lei scrive non è un’attenzione didattica al ricordo ma esattamente non perdere una virgola di quello che vedeva con i propri occhi.

Quello che chiediamo a don Pino ed Emanuele è di raccontarci la verità che con Marta e attraverso Marta hanno visto.

Io non ho conosciuto Marta direttamente, ma amici che avevo in università, in particolare Dado, mi hanno sempre raccontato di lei e della loro amicizia, e mi raccontava che lei era molto amica di don Pino. Per cui a don Pino chiediamo di dirci quello che ha visto con i suoi occhi e come può essere per noi motivo di vita.

Ma iniziamo con Emanuele.

Ad Emanuele abbiamo chiesto di raccontarci come è nato il libro. Nella prefazione di don Pino c’è scritto, “il parto di questa agile pubblicazione non è stato facile”. Non si capisce se la sottolineatura è su “agile” o “difficile”… Emanuele perché questo titolo e come sono stati scelti gli scritti di Marta, le email, gli appunti che sono qui contenuti?

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Emanuele

Grazie. Parto da una premessa che è un po’ la confessione di un imbarazzo. Lo stesso che provo quando, incontrando le persone che hanno letto il libro, mi dicono “che bello il libro che hai fatto, che hai curato”. E io dico loro, “io non ho fatto nulla”. E non ci credono, pensano sia una modestia affettata; invece è proprio così. Questo è il punto, per come l’ho percepita io, della vicenda che ruota anche attorno alla edizione del libro.

Non ho fatto nulla. Si è imposta una potenza. Una potenza di esperienza che risulta per certi aspetti inspiegabile, ma a cui Marta ha dato un nome, ha dato un volto attraverso dei volti, un volto che si chiarifica sempre più nella sua esperienza. E mi son trovato dentro sempre più in questo turbine.

Anche io Marta non l’ho mai conosciuta personalmente, per cui occorre che vi spieghi come è nata la mia implicazione.

Ma prima vorrei leggervi come questa cosa che vi ho comunicato – l’esperienza di una potenza sorprendente-  sia poi il tessuto delle reazioni di chi ha letto il libro.

Vi leggo un sms che mi è giunto poche settimane fa.

“Questo libro è di una potenza straordinaria, la potenza di Gesù che entra nella vita”.

Un altro messaggio di una ragazza che frequenta l’università qui a Bologna: “Ciao, Emanuele! Volevo ringraziarti per il libro sulla Marta. Non mi sono mai riconosciuta tanto in una persona come in lei, è incredibile come una che non ho conosciuto possa farmi una compagnia tale: le stesse paure, le stesse domande, la stessa intensità di desiderio. Ma soprattutto la stessa unica risposta che soddisfa il cuore. Grazie di essere stato strumento di ciò”.

Un altro breve messaggio rivolto ad Elena e Giorgio, genitori di Marta, da parte invece di Pierpaolo Pari, Zizzo, uno dei primi della comunità di Rimini, la comunità da cui viene Marta.

“Grazie Elena e Giorgio per il dono che avete fatto a me e a tutti concedendoci di conoscere pensieri, sentimenti, desideri…, insomma squarci di vita di Marta. Per me non è stata una lettura, ma un’invasione di stupore, affascinato dalla sua solarità, dal suo desiderio di vita vera”. (I messaggi completi li potete trovare sul sito, qui).

Questo per dirvi che quel colpisce subito chi ha letto il libro, è “qualcosa d’altro”, una sorta di eccezionalità. In particolare mi colpisce il primo messaggio, che è di Giovanna, perché chiama questa eccezionalità con il suo nome, “la potenza di Gesù che entra nella vita”. Perché questa è in sostanza la questione.
Quanto detto non è stato solo il contenuto per cui è stato redatto il libro ma anche il metodo con cui lo si è scritto, con alcuni sacrifici, con non poche fatiche. La parola “un parto difficile” di don Pino è azzeccata… ed anche io, nella post fazione, faccio un cenno a questa non semplice stesura.

Ma ancora voglio soffermarmi sulle reazioni al libro, perché credo sia giusto osservarle, senza enfasi o aloni sentimentali, ma nella semplicità e spontaneità con cui sono arrivate.

Giorgio Paolucci, giornalista di Avvenire, ha scritto un bell’articolo su Voglio tutto, pubblicato proprio il giorno di Pasqua. Era stato contattato dall’editrice Itaca, così come tutta la stampa, ma lui ha voluto, in tutta serietà, avere in mano il testo e poterlo leggere distesamente, cosa che spesso non si fa, purtroppo. Giorgio è stato serio e nella lettura è rimasto molto colpito dal libro, tant’è che non solo l’ha pubblicato la S.Pasqua, un giorno di pubblicazione speciale per una testata che si identifica come il quotidiano dei cattolici, ma prima ci ha mandato un messaggio trepidante… “spero di non aver tradito niente della vita di Marta”. Leggendo il suo articolo un giovane di Padova mi scrive su Facebook, affermando “lei è il curatore del libro? Fate presentazioni, fate conoscere a tutti la storia straordinaria di questa ragazza”. Questo solo leggendo l’articolo, per poi risentirci dopo la lettura da parte sua del libro, lettura che lo ha spinto a scrivere per un’agenzia di stampa locale.

Insomma, un’intensità umana che colpisce chiunque. Fino a colpire i ragazzi più giovani.  Nel sito che ho costruito per favorire la conoscenza del libro (www.scrittidimarta.it) ho raccolto alcune testimonianze che non sono potute entrare nel testo (altre ne seguiranno nei prossimi giorni). Tra queste, quella di un’amica carissima di Marta, Silvia. Chi visita il sito è selettivo e mentre comunicazioni di servizio ottengono qualche centinaio di click, la sua testimonianza, molto bella e intensa, raggiunge in due giorni 9mila visualizzazioni. Incontro Silvia e le dico “ti hanno letto un sacco di persone!”  e subito esclama “o mamma mia!”, Perché c’è una sorta di pudore, di discrezione fortissima da parte degli amici di Marta nel parlare di lei. Ma poi lei incalza dicendo, “non hai idea di cosa sta succedendo intorno a questo libro”. E mi parla di una sua alunna che l’ha letto più volte sotto pasqua e che diceva di quanto l’aveva accompagnata durante tutto questo periodo, e soprattutto di un’amica, insegnante di religione, che l’aveva proposto in classe e una studentessa, dopo averlo letto, ha voluto acquistare e leggere i libri di don Giussani, spesso citato da Marta come sua lettura abituale e grande riferimento, e poi le chiede qualche settimana dopo “ma io voglio capire cosa è scuola di comunità” (di cui Marta parla di continuo); vi partecipa ed infine segue il Triduo pasquale con i ragazzi di Gioventù studentesca, la stessa esperienza che ha fatto Marta.

C’è qualcosa che si impone, che colpisce in maniera diretta, immediata.

E vengo a come è nato il libro.

Io non conoscevo Marta e non conoscevo, se non di vista, Giorgio, il padre. Mi arriva una telefonata in estate in un momento in cui ero strapieno di cose da fare. Quei momenti che dici, “ma non dovevo prendere tutte queste cose, non ce la farò mai a farle… ho proprio sbagliato per presunzione! Dovevo dir di no a qualcuno”.  E in un momento così, arriva la telefonata di Giorgio che propone un ulteriore lavoro, così delicato… Io ho accettato, dopo qualche tentennamento, ma già subito in quella telefonata ho detto di sì. Come scrivo nella post fazione, il motivo per cui ho detto sì, al di là di qualche insistenza di Giorgio, è nel fatto che durante un convegno nazionale di insegnanti a La Thuille, mi ero ritrovato con una delle amiche riminesi di Marta, Silvia (quella di prima!). Non abbiamo parlato di lei, ma le era arrivata notizia dell’aggravamento delle sue condizioni – eravamo nel settembre del 2010 e Marta salirà al cielo in ottobre -, così che Silvia chiede di dire un rosario interpellando don Claudio Parma, anche lui di Rimini e lì presente. Ci ritroviamo in una dozzina. Mi avevano colpito questi giovani, i riminesi presenti più qualche amico di Marta dell’università. A quel rosario c’era un’aria certamente contrita, compunta, addolorata ma inspiegabilmente lieta. Mi è rimasta impressa nella mente questa mescolanza, o meglio dire questa unità, di elementi. Unità che ho ritrovato negli scritti. Non solo, a quel convegno avevo pranzato con alcuni amici di Marta e c’era qualcosa di molto interessante. Ecco perché ho ceduto alle insistenze di Giorgio… In fondo, i tempi non erano brevi, circa un anno ci eravamo dati… poi sono diventati molto più lunghi.

Quindi è stato ritrovarsi di fronte a qualcosa che si imponeva da sé.

Ma non è stato semplice lasciarsi prendere da questo.

Ci siamo trovati, abbiamo deciso la struttura del testo ed era chiaro che bisognava partire assolutamente dai rapporti che Marta aveva costruito, per lei decisivi. Per cui ho iniziato a interpellare i ragazzi, suoi amici, ad intervistarli in un incontro dietro l’altro nel corso di un anno.

L’idea iniziale era quella di incastonare i testi di Marta dentro i racconti dei ragazzi, a cui ovviamente si sono aggiunte le interviste con la famiglia, con il prof. Rovetta e soprattutto con don Pino. Don Pino è stato una delle prime persone interpellate, in un breve incontro durante il Meeting di Rimini; venti minuti essenziali perché si sono chiarite subito le coordinate del lavoro. La prima cosa che mi disse don Pino è stata “Se si deve fare, se si farà, evitiamo però ogni sentimentalismo perché la Marta era tutt’altro. Tanto spesso questi libri che parlano di esperienze e di vite eccezionali, e che meritano di essere trattate, si impiacioccano – avevi usato questo termine – in un sentimentalismo”. E questa è stata la direttiva iniziale che si è tentato di seguire.

Ma nello scrivere, secondo la struttura di cui vi dicevo, il rischio di spiegare la vita di Marta prevaleva.

Va detto subito, inoltre, che il lavoro è stato fatto in continuo rapporto con la famiglia e con gli amici, passandoci bozze e valutando assieme. In tal senso decisivo è stato l’incontro con Francesco, il più caro amico di Marta. L’incontro con Francesco, oggi don Francesco, è stato anche rocambolesco. Ero tutto preoccupato di riuscire a incontrarlo… Francesco fa parte della San Carlo, sacerdoti missionari e al momento della corrispondenza con Marta era in Canada. Mi dicevo, “chissà dove è?”.  Giorgio aveva saputo che era a Roma e già pensavo a come organizzare un incontro là, gli scrivo email a cui non risponde; poi mi chiama mentre sono in vacanza in val di Zoldo e dopo un quarto d’ora di telefonata, al momento di valutare se sfruttare il Meeting di Rimini, o accelerare i tempi andando io a Roma, scopriamo che era a 10 minuti da me, nella valle accanto. La sera stessa ci siam presi una birra assieme ed ebbi modo di raccogliere una bellissima intervista, delineando una ricchezza di elementi che rappresentano sicuramente un altro passo decisivo verso la stesura del lavoro.

Nell’incontro con lui è emerso con più chiarezza una connotazione che è una costante di tutti gli incontri con gli amici universitari di Marta, compreso don Pino e il prof Rovetta. La prima cosa che mi hanno tutti detto è stata (la dico nell’espressione che ha utilizzato Lucia), “guarda, noi ti diciamo tutto, ti spieghiamo, ti raccontiamo … però…” e qui proseguo con le parole di Francesco, “per me, per noi, parlare di Marta è come …” ed ebbe un momento di silenzio, per cui dissi io anticipandolo (mi era già chiaro avendo incontrato altri di loro), “è come entrare in un luogo sacro”. “Sì, è così. Per cui ti chiedo assoluta discrezione, assoluto pudore. Lo stesso rispetto che ognuno di noi ti testimonierà”.

Io ho dovuto capire un po’ cosa fosse questo pudore, cosa fosse questa discrezione, e ancora lo devo capire bene per certi aspetti, però è chiaro che Marta è morta, la corsa di vita che ha condotto rimane un punto di domanda abissale. C’è stato un incontro degli studenti di Rimini con don Francesco in cui una ragazza gli ha chiesto, “ma perché Dio non l’ha salvata una seconda volta?” (Marta si ammala, poi guarisce inspiegabilmente, poi si ammala di nuovo due anni dopo fino a morire). La risposta di Francesco è stata fantastica perché ha detto, “come tu non lo sai, non  lo so neppure io. Marta però sicuramente lo sa, perché in Paradiso vedremo tutto questo con chiarezza. Anche io in Paradiso lo scoprirò. Ma ora io non lo so. Però preferisco avere Uno a cui chiedere, con cui magari arrabbiarmi, che avere una risposta chiara ma che mi lasci solo. Con Marta ho imparato a stare in rapporto con Uno”.

Ed è questo relazionarsi che poi ha tratteggiato il lavoro.

La prima stesura è stata fatta per temi, perché volevo dare ordine e far emergere alcuni punti salienti. Pensate, sono 400 scritti quelli raccolti da Giorgio e dalla famiglia, scritti sparsi che da loro sono stati ordinati e sistemati – erano appunti della più varia specie (email, scritti su foglietti, pagine di diario, lettere)- con estrema pazienza. Nella moltitudine di questi scritti, molti quotidiani, molti profondissimi, altri personali e legati a situazioni specifiche, l’idea era quella di estrarre nodi, quasi concetti chiave della sua esperienza. Ma procedere così era quasi uccidere Marta, vivisezionarla. Per cui sono tornato sul testo, continuando a spiegare (poco) la sua vita, utilizzando sempre anche le interviste, pur ridotte, e dando una struttura cronologica al lavoro, moltiplicando i testi. Ma anche quel poco che si spiegava, era come una caduta, per cui niente. Qui ringrazio Francesco per la franchezza nel rapporto con me, per cui mi ha detto, “guarda, scusami, ma io non son convinto. Non vien fuori Marta”. Lo ringrazio perché in questa franchezza ci si è potuti mettere di fronte a qualcosa di diverso, di diverso da quel che poteva essere, da come poteva “riuscire” il lavoro. Ed è stato decisivo incontrarsi in via Boccea, a Roma, alla fraternità san Carlo, con lui e con il prof. Rovetta dove abbiamo dato l’ultima scrematura, rimanendo su di una antologia di testi. Lì è nato quello che avete tra le mani, i testi con una nota biografica ampia per dare le coordinate della sua vita ma che poi lasciasse i suoi scritti in grado di parlare da soli, a prescindere da quel che si capiva o non si capiva, a prescindere da tanti dettagli, pur belli. Una scelta che è stata un sacrificio enorme, perché quel che è rimasto fuori (molti testi di Marta, le interviste) è bellissimo. È bellissimo. E tuttavia spingeva il lettore dentro ad una “spiegazione” di ciò che invece non si può spiegare. Si sarebbe caduti nel tentativo di spiegare quello che, come per la domanda di quella ragazza, non si può spiegare, di fronte a cui occorre semplicemente star di fronte.

Per cui è stata questa la preoccupazione di tutto il lavoro, e credo sia venuto fuori qualcosa di originale da questo punto di vista. E i testimoni di questo sono i lettori che incontro. L’ultima è la moglie di un collega che non ha detto cose particolari, ma la faccia che aveva diceva tutto. Ed anche a lei che ringraziava ho detto, “non ho fatto nulla, mi sono solo fermato di fronte a quella impressione iniziale che ho cercato di tenere viva”. Senza quella imponenza iniziale, è chiaro che sarebbe stato assai difficile mettere in atto la disponibilità a lasciarsi correggere – invece necessaria per il buon esito del libro-, che ha significato anche “correggere” sia il punto di vista di Giorgio e della famiglia, che quello di Francesco e degli amici.  La famiglia avrebbe voluto mettere più testi, perché in tanti passaggi erano espressi aspetti belli di quel che è la vita della Marta. Francesco e gli altri amici, invece desideravano fermarsi sugli elementi essenziali, su passaggi che in forma diretta ed efficace esprimevano squarci sulla sua vita, senza la preoccupazione di descrivere troppo.

Se non ci fosse stata questa imponenza non ci sarebbe stato neppure il libro, io credo.

Chiudo dicendo che la questione che per me è interessante in tutta questa vicenda è l’aver imparato un po’ di più che la vita è rispondere ad un Altro. Lo dico senza comprenderlo a fondo, senza sperimentarlo se non per un millesimo rispetto a quello che emerge nel libro e che Marta ci ha testimoniato.

Io sono molto grato a Giorgio per quella telefonata, e grato a tutti gli amici per come si sono messi a disposizione per questo lavoro, perché per me ha voluto dire fare un passo in più dentro questa avventura incredibile… Francesco, sempre ai giessini, diceva “se scopri che dietro a questo tavolo, a queste cose, a queste persone, c’è Uno, cambia l’intera vita”.

Ecco … ci si instrada su questo, ed è la cosa incredibile che Marta ha vissuto.

 

Beppino

Grazie Emanuele. I fatti e i nomi che Emanuele ha citato sono quelli che trovate nel libro, sono una parte degli amici di Marta. Emanuele dice, “la vicenda ha suscitato una grande curiosità e lo scopo è farla conoscere a tutti”.  Don Pino ti chiedo di raccontarci la tua amicizia con Marta e di aiutare noi a trarre il giudizio che aveva sulla vita, un giudizio che può essere per noi.

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Don Pino

Grazie. Una piccola premessa. La prendo da due passaggi della introduzione degli Esercizi della Fraternità di Comunione e Liberazione di don Julian Carron.

“Alla luce della resurrezione si può vedere tutto… Immersi nel grande Mistero”.

C’è un esempio che mi è venuto in mente guardandovi. Molti di voi, i più saggi, cercano l’ombra; e va bene. È inevitabile. Fossi lì, lo farei anche io. Ma mettersi all’ombra vuol dire non prendere il sole in faccia. C’è qualcuno che vive accettando di essere totalmente illuminato. Non cerca l’ombra come farebbe ciascuno di noi, anche se stare al sole fa sudare, ti affatica, ti prova, ti cuoce. “Immersi nel grande Mistero”.

L’altra frase è quella di Giussani che cita don Julian nella introduzione agli esercizi, a pag. 12, quando parla del continuo recupero dell’intelligenza del bambino per poter guardare le cose in modo vero.

“Si chiama fede, l’intelligenza umana quando, rimanendo nella povertà della sua natura originale, è tutta riempita da altro, poiché in sé è vuota, come braccia spalancate che hanno ancora da afferrare la persona che attendono”.

Questa frase descrive la persona di Marta, ma descrive la possibilità per ciascuno di noi. Marta era ben consapevole di questa duplice possibilità. Lei la descrive con grande lucidità in un passaggio, a pag. 51 del libro, in cui dice: “Nella giornata mi accorgo che ho due possibilità. O vivo un dialogo serrato e continuo con una Persona che mi ama a tal punto da morire per me, o vivo sola, con me stessa. E sai non ti dico che non ho mai vissuto così, ma ti assicuro che dopo pochissimo di me stessa sola non me ne faccio niente, anzi soli si perde il gusto della vita, si cade nei se, ma, però, forse… che sono tutte menate e scuse inutili pur di non stare davanti a Gesù da uomini. Ci vuole coraggio per starci e non fuggire. A un padre che mi ama posso affidare tutto anche il mio dolore, la mia stanchezza che oggi ha raggiunto vertici incredibili, mi sono addormentata sull’autobus. Gli affido tutto perché Lui lo porta con me, così non ho paura”.

L’incontro mio con Marta non è avvenuto subito nel 2002, quando lei ha iniziato da matricola la Cattolica, per una semplice ragione. A differenza di tante comunità che accolgono le matricole e che anzi le vanno amorevolmente a cercare alle vacanze di GS o al pellegrinaggio a Czestochowa (molti maturati che vivono l’esperienza di Cl partecipano a questo tradizionale pellegrinaggio in Polonia ndr) cominciano a covarle come pulcini, in Cattolica, seguendo una tradizione giussaniana l’impatto non avviene con la comunità ma con la realtà, che è lo studio. Per cui sembra ci sia una partenza più lenta. Tutto è esploso, come poi accade, sotto la sfida di circostanze come il rapporto con i professori, rapporto con i compagni, con lo studio, con un nuovo metodo di approccio alle materie; tutto è esploso verso la fine dell’anno accademico, all’inizio dell’estate, quando Marta è venuta, come lei ricorda nel libro, a parlarmi.

Io ricordo nettamente due cose.

La prima: una persona che faceva fatica ad accettarsi, a volersi bene.

La seconda: un’enorme febbre di vita. Voleva vivere tutto, capire lo studio, capire le amicizie, non le basta niente. Raramente ho trovato una persona di una intensità umana così, dal gusto per il mangiare, al gusto per la danza, al gusto per la bellezza…  Se leggete attentamente il libro ci sono delle descrizioni di paesaggi bellissime… un tramonto, un’alba vissuta con il papà e la mamma, scoprendo il ponte che il sole faceva sul mare, la gioia per una nevicata vista dalla camera dell’ospedale…

Racconto un episodio che non riguarda strettamente Marta, durante l’importantissima, per lei e per la comunità della Cattolica, estate del 2003, ma quattro amici, tutti di lettere: Francesco, Francesco di san Remo, Matteo e Stefano. Ricordo una cena fatta con loro alla vacanza estiva. Ho detto loro, “vedete, voi siete amici ma non avete chiara la ragione che vi lega. Per cui avete perso un anno. Davanti avete un bivio: o fate della vostra amicizia il luogo del protagonismo di un Altro, o la vostra università sarà sterile e la vostra vita ancora di più”. Sono andato giù un po’ pesante come spesso mi capita. Bene non è successo niente per qualche mese, poi la questione è esplosa. Non a caso uno è il rettore del seminario, uno è rettore di una scuola in Uganda – la Luigi Giussani school -, altri due insegnano….  chi è il catalizzatore? L’amicizia tra Marta e Francesco. Ecco, io ho visto semplicemente la potenza di un’umanità che si lascia – come dice Giussani “restando nella povertà originale, come anfora vuota alla fonte” – tutta riempire da Altro. Questo è il segreto di tutto, ed anche la radice profonda.

La grande avventura di Marta, che esce molto bene nel libro, descrive che cosa succede alla vita quando rimanendo nella povertà della sua natura originale, come anfora vuota al mattino, si lascia tutta riempire da un Altro.

Rimanere nella povertà della propria natura originale, vuol dire rimanere leali alla propria umanità, rimanere leali ai propri desideri, rimanere leali alle proprie fatiche. Una cosa veramente giussaniana di Marta è che lei dava il nome giusto alle cose, anche se alla gente intorno a lei mancava il fiato. La fatica, fatica; il dolore, dolore; la gioia, gioia; la preferenza, preferenza…  Qualcuno, – Emanuele non l’ha detto, ma lo dico io perché parlo di un grandissimo amico – quando ha letto i tratti dell’intensità e dell’affezione tra lei e Francesco, ha detto, “ma possiamo scrivere queste cose? Non è che la gente penserà male?”. E lascia che pensi male, perché pensare male di un’affezione così limpida, così pura, così profonda e così generativa vuol dire che noi possiamo metterci all’ombra invece che al sole. Si sta più comodi, ma non si vedono i contorni schietti, taglienti, profondi, affascinanti che solo la luce piena del meriggio conferisce alle cose.

Ecco Marta chiamava le cose per nome, e lo diceva, “sono stanca, sono triste”, oppure “vorrei andare a capire bene quella cosa lì”…  una che dice “mi interessa la Madonna di Guadalupe, vado in Messico”. Per fortuna che ha trovato un professore che le ha dato retta, come il grandissimo prof. Rovetta. Capite, lei che non aveva mai volato… – leggete il racconto della trasvolata! – arriva, va a vedere la Madonna, raccoglie dati, si impasta con la comunità locale e con le contraddizioni di una megalopoli come Città del Messico. Oppure la curiosità per chi era molto  diverso da lei, la complicità di essere strumento di generazione di questo Altro, da cui giorno dopo giorno si lasciava riempire. Ecco, in sei, Francesco, Matteo, Francesco, Marta, Lucia e Stefano tenevano insieme una comunità di 700 persone. Caratteristica di questo una “radicalità” del desiderio: io voglio tutto. Perché, scusatemi, la possibilità della nostra vita è questa: o accontentarsi, – e c’è gente a vent’anni che io conosco e che sono già vecchi bacucchi, sanno già tutto, non hanno bisogno di imparare niente, i desideri sono tali perché controllati, anziché essere suggerimenti per un cammino all’infinito – o accontentarsi, o prendere sul serio questo Voglio tutto.

L’altra questione è accettare che questo tutto non sia una nostra misura ma un rapporto con un’altra persona. Qui vi ricordate la svista, Carron lo chiama lo spostamento – sarà tutta la prima lezione degli esercizi -:  l’uomo dice a Dio, ti do tutto. Quando Cristo prende tutto, l’uomo ha la tentazione di mollare, di nascondersi, si lamenta … ma poi accetta.

Questa è la grandezza della nostra  vita.

Chiediamoci innanzi tutto, perché questo è il modo di imparare da Marta – nella nostra vita “ti do tutto” è la verifica della cosa migliore di noi, la capacità di amare -,  ma quando Lui prende tutto, noi ci mettiamo all’ombra o stiamo al sole?

Marta è stata al sole. E il sole illumina e consuma.

Due questioni…

Se voi leggete il libro, la vicenda di Marta è la testimonianza della contemporaneità del Carisma. Perché parliamo di una persona che non ha conosciuto Giussani, parliamo di una generazione di universitari che non hanno mai incontrato Giussani. Quando Marta parla di Cristo è una presenza reale che apre, come dice la preghiera che lei recitava tutti i giorni, una ferita che non si rimargina più. Fate il test, quando parliamo tra di noi e con amici grandi, anche con la moglie e il marito, ma anche con chi è molto piccolo o molto vecchio, la grande differenza, che si sente, è se c’è una ferita aperta o no. La ferità di cui dice Peguy attraverso cui passa la grazia di Cristo, la vita di Cristo. Lei ha accettato che la sua vita fosse aperta da questa ferita. Perché è questa apertura – sempre un po’ dolorosa, o molto dolorosa- ciò attraverso cui la circostanza diventa Cristo che opera, Cristo che genera. Lei ha generato la comunità da un letto d’ospedale l’ultimo anno, ha custodito i suoi bambini a scuola offrendo la sua malattia. Era naturale per lei vivere la dimensione angusta di cure spesso dolorose, e purtroppo rivelatesi inutili, come la feritoia per il suo contributo alla storia del mondo, alla storia della Chiesa.

Cosa ci dice, cosa mi ha detto Marta?

Questa straordinaria famigliarità con Cristo non è riservata a pochi eletti che noi dobbiamo guardare un po’ da distante, all’ombra, ma è la stoffa della vita.

E da qui nasce la seconda questione: un’amicizia esigente. Raramente ho visto una persona così. Io sono circondato da tanti amici, ma molti bonaccioni, dove il contenuto dell’amicizia è farsi coraggio, darsi ragione, mettersi d’accordo, attutire l’urto della vita. Quando tu entri a contatto con un’amicizia che invece è esigente, urgente, invadente, cioè scomoda, capisci che il destino e la vita sono una cosa seria.

Marta mi ha aiutato a capire una cosa che, parlo soprattuto per quelli che sono del movimento di Cl, è decisiva. Quella che Giussani ha scoperto entusiasta nella osservazione del prof. Lobkowicz, il rettore della mia università tedesca, che disse “per voi l’amicizia è una virtù”, cioè strada al destino. Questo ha a che fare con la contemporaneità di Cristo, perché l’amico vero non è quello che ti dà ragione, non è quello che ti consola, ma quello che ti dice  – te lo dice tutti i giorni … come faceva Marta con le sue amiche, a volte insopportabile a loro detta, ma sempre implacabile…- :  “cosa serve guadagnare tutto se poi perdi te stesso?”.

Ci sono degli strani fils rouges, degli strani fili rossi, che attraversano la nostra vita. Capire la questione che io ho visto con i miei occhi, beneficiando immeritatamente, – lei mi chiama, sono un po’ imbarazzato, padre in molti passaggi, ma in realtà è lei che mi ha introdotto più profondamente a questa dinamica…

E io lo dico  perché questi sei ragazzi che adesso sono in giro per il mondo, una in paradiso, uno in Africa, due a Bergamo, tre a Milano – … gente normalissima – hanno vissuto nel quotidiano la stessa questione che (state attenti) Giussani ha ritenuto decisiva per la permanenza del carisma. Quando gli hanno chiesto, non vi dico chi, non è ancora il momento, “ma perché Giussani… ma tu dici sul serio quando dici che saranno gli spagnoli a guidare il movimento?”  – era un consesso ristretto di capi, “capissimi” italiani, – lui tranquillo rispose, “certo. voi non ci credete, ma sapete qual è la differenza tra voi e loro?”. E loro erano Prades, Carron, Garcia…. “Voi avete la preoccupazione – lo diceva venti anni fa – di chi mi ha capito meglio, di chi meglio è l’interprete del carisma, – oh, qualcuno non si è ancora staccato dopo vent’anni; no, lo dico perché non dobbiamo complicarci la vita – e non siete amici tra di voi; infatti appena uno non c’è, parlate male di lui”. (Tremendo Giussani …  Marta era così, pane al pane, vino al vino….  Ti sembrava ti fosse arrivato uno schizzo di acqua bollente dalla pentola dei tortellini!)  “Loro, gli spagnoli, sono amici. Perchè? Perché il contenuto della loro amicizia è l’aiuto a seguire me, cioè Cristo”. 

Voglio dire che la vicenda umanissima, quotidiana, feriale di una ragazza a cui piaceva ballare, a cui piaceva la sua stupenda cucina romagnola, a cui piaceva il mare, gli scherzi -una formidabile frizzista, lei e l’Anna facevano dei frizzi da restare estasiati – una ragazza normale come tante che sono sedute qui…. eppure le vicende di questa persona – lo dico con discrezione perché chi di voi ha veri amici, e spero che ciascuno di voi possa dire sì, almeno di un paio di persone, di quegli amici che sai possano venire a prenderti nel vestibolo dell’inferno, ci fosse bisogno…  bene c’è un punto di pudore, pudore perché lì c’è il mistero, e il vero amico è chi rispetta il silenzio. Una delle cose più impressionanti degli scritti di Marta, che ha scritto, cantato, parlato, scherzato molto è questa capacità di silenzio. L’amico vero, ci diceva sempre il don Gius, è quello con cui potresti stare in silenzio sempre, come Andrea e Giovanni di ritorno quel pomeriggio alle quattro.

Questa vicenda umana si intreccia misteriosamente con la vicenda che vede noi tutti protagonisti, con la vicenda di come il carisma permane nella nostra vita. Permane vivo, ardente, esigente, e nello stesso tempo pacificante, come è pacificante per il bambino che alza le braccia, anfora vuota alla fonte, sentire due mani forti che lo stringono e portano il suo viso contro il viso della mamma e del papà. La vita di Marta ha preso alla lettera l’invito di don Giussani, “vi auguro di  non stare mai tranquilli”. È l’augurio che faccio a me; è l’augurio che faccio a voi. Perché se riprendiamo questo libro, la cosa più spontanea che ci vien da dire è “ma se è stato possibile per  lei, perché non può esserlo per me?”.

C’è un inconveniente nell’incontro che abbiamo fatto. Questo non possiamo non dircelo. Il nostro desiderio è per il tutto. Il problema, la cosa più grave, non è non sbagliare. Se ci pensiamo bene tutti  nostri sbagli sono desideri che impazziscono riguardo l’oggetto. Il vero sbaglio è accontentarsi. La grazia di Dio, la sua preferenza, la sua misericordia continua a donarci persone che, più con la loro vita che con le loro parole, ci dicono, “non accontentarti, qualunque cosa tu viva, qualunque cosa sia successa, qualunque cosa tu tema, qualunque sia la delusione, non accontentarti”. E Giussani ce l’ha detto perentorio nel video degli esercizi, e questa cosa mi brucia dentro: “Se c’è qualcosa che devi cambiare nella tua vita, cambiala”.

Grazie!

Bologna1

Beppino

Grazie mille, don Pino. Chiudo solo riprendendo una cosa…  non è giusto ridurre le tante cose che sono emerse, ma per il luogo in cui siamo sottolineo: Marta aveva questo desiderio insieme ai suoi cinque amici di essere strumento di generazione attraverso di loro per il mondo. Penso che anche noi sentiamo questa responsabilità, specie in un luogo come questo. La festa non è routine, ma accade ogni anno per comunicare l’esistenza di un luogo in cui vivere. Io vado via, da questo incontro, con la domanda “come posso io essere uno strumento di generazione per il mondo?”. Qui è possibile acquistare il libro…. qui a fianco dove c’era l’ombra ma ora c’è il sole…

 

Don Pino

Il sole arriva sempre! Attenzione!  Questo è l’avvenimento cristiano! Anche per chi sta all’ombra, il sole arriva sempre. Immersi nel grande Mistero.

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