A contatto con i camici bianchi: racconta il dottor Assanelli

Stethoscope

Una testimonianza del dott. Andrea Assanelli, resa in forma pubblica durante un’assemblea,  è presente all’interno di Voglio tutto, nella parte finale.  Colpiti da quanto affermato, durante la fase preparatoria del libro gli abbiamo chiesto di approfondire in particolare le ultime considerazioni che sinteticamente erano state lì sviluppate. Ne è uscita una intervista via email che non ha potuto trovare posto nell’economia generale del libro, ma che riportiamo ampiamente qui, in quanto aiuta a percepire la concretezza e la profondità dei rapporti che si instauravano con lei. Anche i rapporti con i medici non erano mai qualcosa di scontato.

Al mio arrivo in reparto, i miei colleghi mi avevano raccontato come quei primi giorni in reparto fossero stati pesanti e come davvero la strada fosse in salita. Le condizioni di Marta non erano proprio «brillanti» e si era anche aggiunta una complicanza iniziale (una infezione virale) che aveva rallentato il programma di avvio della chemioterapia. (…) Mi dicevano anche che lei era certo spaventata, ma che era molto presente e che chiedeva a spron battuto rispetto a tutto quello che le stavamo facendo, alle conseguenze del ritardo, alle tempistiche del trapianto, a quando sarebbe stata meglio…insomma non mollava! E questo, come sempre succede, genera un certo disagio nel medico perché rispondere in queste circostanze è sempre faticoso e impegna a dire la verità che si può conoscere, senza gettare nel panico e ugualmente senza mentire o fantasticare, sottolineando i piccoli passi concreti che il paziente fa ogni giorno insieme al medico per superare le difficoltà. Facile a dirsi, difficile a farsi! Comunque questo era lo stato delle cose che mi era stato consegnato dai miei colleghi. E così ho iniziato a essere il medico di Marta. Toccava a me rispondere alla sue domande, toccava a me visitarla, assisterla nelle urgenze e nelle complicanze legate alla terapia. Non ho mai fatto niente di diverso rispetto a quello che ho sempre fatto e faccio tuttora. E Marta non era diversa da altri centinaia di pazienti che avevo visitato nel corso degli anni. Ma quando si percepisce di essere di fronte ad una persona impegnata nel cercare di conoscere sempre di più il suo destino questo cambia tutto: il suo essere paziente ed il mio essere medico. Fai le cose di sempre, ma sono come investite da un respiro diverso. Non ricordo se ci sia mai stato un momento esplicito in cui io e Marta abbiamo parlato del destino, del significato di quello che le stesse accadendo, del senso della sua malattia e delle sue sofferenze, così come delle sue paure; credo proprio di no…. Eppure giorno dopo giorno noi ci siamo comunicati attraverso le cose concrete di cui dovevamo parlare (per l’appunto le «cose mediche»: Come va il dolore? Ha funzionato questa medicina? Respiri meglio con questa maschera d’ossigeno? Hai la febbre? Sono saliti i globuli bianchi?…) una reciproca tensione a conoscere di più il nostro destino. Non so come ma le sue domande semplici mi sembravano cariche di domanda di significato ed il mio essere serio nel cercare di rispondere ai suoi bisogni «fisici» è stato il mio tentativo di condivisione e partecipazione alla sua ricerca, alla sua lotta. E così giorno dopo giorno è nata una amicizia, forse strana perché appunto io non ho mai smesso di essere il suo medico e lei di essere la mia paziente. Credo, da quello che ho potuto capire, che la frase che mi ha detto e che ho citato (nella testimonianza riportata nel libro -ndr -) «…Andrea, io sono tranquilla ed affidata perché vedo te affidato…» nasca da questo dialogo che nei giorni si era fatto sempre meno carico di parole. O meglio io parlavo, come anticipando le sue domande «tecniche» del giorno, e lei mi lasciava fare, guardandomi. Assolutamente mai distratta o disinteressata, ma preferibilmente in silenzio. Allora, un giorno le chiesi come mai non rivolgesse più così tante domande e la risposta fu quella. Le dissi solo che aveva proprio ragione e la ringraziai!  

Io penso che nella mia vita la misericordia di Dio si sia manifestata in quei momenti in cui ho potuto percepire di più che cosa sono. Qui non si tratta di accorgersi che una persona va verso il suo destino fortunatamente in modo sereno, qui c’è qualcosa che succede a me, un fatto che sta dicendo qualcosa a me di me, del mio essere fatto non per la morte, ma per la vita, per il sempre e per il sempre felice. Qui sta succedendo qualcosa che mi dice: guarda questa ragazza! Cosa le sta succedendo? Come le sta succedendo? Ti dice che tutto sta per finire, o si sta consegnando affidata e serena? A queste domande devo rispondere e se sono sincero, ecco che mi accorgo della misericordia di Dio, che mi parla e che mi sta dicendo di che pasta sono fatto!

dott. Andrea Assanelli

1 risposta a “A contatto con i camici bianchi: racconta il dottor Assanelli”

  1. Io in questi giorni ho incontrato il Dott.Assanelli Andrea per essere informata dello stato di salute di mio marito Mauro..avevo paura di cio che stavo per sentire sapere cosi la diagnosi e rendermi conto di quando immensamente grande e negativo stava succedendo a mauro e…a me alla famiglia..e…..che io…..non potevo fare nulla …mi sono sentita così piccola così inutile davanti alle grandi cose noi essere i umani siamo davvero nulla…..lui ha saputo parlarmi spiegare cio che stava succedendo e io ho percepito nel suo tono di voce conoscenza…serenità….e fiducia nonostante mi stesse comunicando che forse Mauro non ce l’avrebbe fatta ….ha saputo credo……gestire capire senza commentare la mia scelta di non vedere….incontrare Mauro con il quale avevo già cmq informato che non sarei andata a salutarlo per non creare ulteriore disagio e sofferenza poi al distacco….Buon lavoro Dottore e GRAZIE per ciò che fa e che ha scelto di fare per l’umanità….grazie della sua sensibilità e che Dio guidi sempre tutti voi nella vostra OPERA….

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