Racconta Silvia, una delle amiche più care

marta e silvia
Silvia è una delle amiche più care di Marta. L’accompagnò in ospedale al primo ricovero, era presente in ospedale a pregare mentre Marta viveva gli ultimi istanti di vita terrena. Pubblichiamo i nostri dialoghi con lei, svolti in preparazione del libro.
Ricordo quando sono entrata nella stanza dell’ospedale, l’ultimo giorno. Siam venuti su di notte io, l’Anna e l’Alice. Siamo entrate nella stanza e ho visto questo corpicino sul letto, senza capelli, che faceva un gran fatica a respirare, ma mi ha colpito il suo volto. Non era sofferente. Mi ha stupito e la prima reazione che ho avuto è stata, “ma Marta non è solo questo. Non è solo questo che vedo”. Lo stesso ti diranno l’Anna, la Lucia e l’Alice, perché ci siamo viste dopo il funerale, e parlavamo di lei veramente come una persona viva, con una letizia che mi faceva impressione. Guardavo i nostri volti che erano lieti, ed ognuno di noi aveva fatto la medesima esperienza: come se fosse un assaggio della Resurrezione, in pratica. 
Con Silvia ribatto, “ma se fosse una spiegazione postuma, una immaginazione vostra oppure un equilibrio da lei Marta raggiunto, di fronte al nulla totale?”.
Senza scomporsi e con decisa pacatezza Silvia mi dice.
Non ho le parole per spiegare se non dire ciò che ho visto. Ho visto un modo di vivere la malattia, da un lato come lotta per guarire, che però, dall’altro, non è stranamente in contraddizione con l’affidarsi ad un Tu. Questo affidarsi alla volontà di un Altro lei l’ha sempre tenuto, per cui ha vissuto una grande letizia, pur nella sofferenza. Si vede bene dalle  ultime due telefonate che ho fatto con lei (alla visita di cui ti dicevo prima, lei era già incosciente). 
La penultima era in agosto durante il Meeting 2010. Stavo lavorando e lei mi ha telefonato dal reparto sterili, dicendomi “Silvia mi stanno tagliando i capelli a zero, perché bisogna evitare infezioni e io non voglio perché mi piacciono i miei capelli”. Amava la vita e non voleva  perderla. E mi ha detto “sto facendo una grandissima fatica”. 
L’ultima telefonata, invece, è stata il mercoledì prima che morisse; non aveva più voce, aveva solo un filo di voce, e le ho chiesto “Marta come stai?” E lei “Eh, sono qui. Silvia non so cosa dire”. Ma non era un silenzio vuoto, era chiaramente una pienezza. “Non so cosa dire”, non era nel senso che non aveva niente da dire, ma nel senso che aveva già detto tutto, aveva detto sì. Il tono era profondamente diverso dall’altra telefonata: dalla fatica a questa definitezza. Era come se non ci fosse nulla da aggiungere, aveva detto sì…
Ma perché Marta era così presente in università, tra gli amici… così “centrale”?
Forse quanto dico è ancora troppo poco. Forse c’è una dimensione ancora più profonda. Però credo che un motivo, per cui era divenuta così presente nella vita di tutti in università, fosse il fatto che lei non scendeva mai a compromessi con se stessa. Ha sempre avuto questo desiderio totale. Era una domanda continua su tutto. Il non tentare mai di accomodare questo desiderio è ciò che l’ha messa sempre in moto, per cui stando con lei ti sentivi accolto. Perché lei innanzi tutto accoglieva se stessa, senza scandalizzarsi mai di sé, come se si guardasse davvero con gli occhi di un Altro. Questa cosa l’ho intuita in questi ultimi anni. Lei con noi, amiche più strette (diceva che i suoi veri amici si contavano sulle dita di una mano), non ha mai barato. Dunque abbiamo conosciuto anche le sue debolezze, la sua fragilità.  
Ho in mente un episodio, accaduto più o meno nel periodo del suo famoso intervento all’assemblea. Eravamo in una via attorno alla Cattolica, in un bar, io, l’Anna e lei…  Ha cominciato a raccontarci della sua fatica, del fatto che lei era triste, scoppiò in un pianto inconsolabile, non riusciva a calmarsi con niente. E io pensavo, dall’alto della mia superbia – mi vergogno ancora di averlo pensato – “è stata anche miracolata e non ha ancora capito?”. E invece aveva capito. Ero io che non avevo capito: il desiderio che lei aveva era così grande che realmente nemmeno un miracolo le poteva bastare. E viene in mente l’episodio evangelico del decimo lebbroso. Lei era il decimo lebbroso. Aveva una sete di felicità che le cose materiali, anche la guarigione, anche la salute, non potevano colmare. Era la sete di Cristo. Marta voleva Lui, la Sua presenza, fisicamente, realmente; era lieta ma mai appagata delle forme con cui si palesava. Voleva proprio Lui, la Sua compagnia reale. Questo, dentro la malattia, ha cambiato lei e ha cambiato tutti gli altri, tutti i suoi amici .
E Silvia conclude la riflessione.
Il cuore è irriducibile: lei è l’incarnazione di questo .
Quello che ho visto è stato l’approfondirsi di un dialogo, di un dialogo con il Mistero. È stato davvero stare di fronte a un Tu. Veramente ha cominciato a chiedere tutto al Mistero.
E questo cambiava le cose attorno…
La sua stanza era un porto di mare. C’erano sempre un sacco di amici. Lei rispondeva sempre “sono i  miei amici”. Non era mai da sola. E questa cosa ha colpito anche i medici che erano lì. 
C’erano persone che andavano a trovarla, semplicemente perché altri erano andati e avevano raccontato della sua sua faccia bella e lieta.  Si andava a vedere cosa stava succedendo in quella stanza in ospedale. 
Poi, quell’intervento in università a una scuola di comunità, è stato un punto decisivo per tutti. Così come anche la domanda sempre in università a Carron, in assemblea, sempre sul miracolo… 
Un punto di cambiamento per tutta la comunità.
Quando siamo andati su in ospedale, l’ultimo giorno, quando era già in coma, le infermiere che ci guardavano arrivare avevano una specie di rispetto, un silenzio stupito. Venivano a sbirciare in stanza per guardarci, mentre stavamo in ginocchio al suo letto, colpite.  La loro faccia era come se chiedesse, “ma questa chi è? Chi è che muove mari e monti… “. 
Forse avevano capito che stava succedendo qualcosa…

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